lunedì 24 ottobre 2011

23 ottobre 2011 domenica

Libri

Se questo è un uomo di Primo Levi



«Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi, alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi».


Per Primo Levi, dopo il ritorno fortunoso da Auschwitz diventa insopprimibile il bisogno di scrivere, come necessità vitale e improrogabile di testimonianza per far sapere agli altri cosa era successo e come era potuto accadere un tale orrore e anche per assolvere ad un personale dovere morale nei confornti dei tanti compagni morti nel lager e in breve tempo prende vita "Se questo è un uomo".
Non è un libro, è una pietra miliare nella letteratura, nella storia e nell'educazione di ognuno di noi, le sue parole mi hanno segnato per sempre: La dignità di un uomo, la coerenza morale, la chiarezza delle idee, la sua propensione a parlare a voce bassa, la totale mancanza di odio e di rancore verso i carnefici, sono già un lascito ben più prezioso del più grande tesoro: la testimonianza di ciò che deve essere un Uomo per dirsi tale.

A oltre sessant'anni da quella liberazione dei lager si fa ancora fatica a leggerne la storia con animo spassionato perché i campi di sterminio hanno provocato una somma incalcolabile di dolore e di morte.
L'organizzazione dei lager è perfettamente conosciuta anche nei più insignificanti e sordidi particolari ma poco si sa per quali ragioni e cause si sia potuta edificare una gigantesca fabbrica di morte e funzionare con atroce efficienza fino al collasso tedesco. Del resto nessun saggio o trattato storico potrebbe risolvere o comprendere un comportamento extra-umano: «Auschwitz non ha nulla a che vedere con la guerra, non ne è un episodio, non ne è una forma estrema». La guerra è un fatto doloroso e tragico che da sempre accompagna la storia dell'uomo quasi in una sorta di crudele lotta per l'esistenza ed è un germe che ci portiamo dietro, insito dentro di noi: ma Auschwitz non è in noi, è fuori dell'uomo, e i suoi autori non sono in preda al delirio perché sono diligenti e tranquilli, efficienti e compassati; sono funzionari di Stato, brutali, insensibili all'orrore quotidiano e anche le loro dichiarazioni e testimonianze postume sono fredde e vuote quasi distaccate.
«Ogni uomo civile è tenuto a sapere che Auschwitz è esistito, e che cosa vi è stato perpetrato: se comprendere è impossibile, conoscere è necessario». La sua infezione presenta segni precisi: la negazione della solidarietà umana, l'indifferenza cinica per il dolore altrui, l'abdicazione dell'intelletto e del senso morale, la viltà abissale mascherata da fedeltà a un'idea. Solo ad Auschwitz, in nome di tutto ciò, furono sterminati con meticolosità scientifica milioni di uomini, donne e bambini; e furono utilizzati non solo i loro averi e i loro abiti ma anche le loro ossa, i loro denti perfino i loro capelli. La Germania nazista e tutti i paesi da essa occupati erano un tessuto di campi di sterminio e di campi di lavoro. I lager erano strettamente collegati con l'industria bellica tedesca che si fondava su di essi ed il sistema sarebbe stato perfezionato in caso di "vittoria finale" con la creazione di un Ordine Nuovo: da un lato la classe dominante del Popolo dei Signori (cioè i tedeschi) e dall'altro una sterminata massa di schiavi a lavorare ed obbedire.
A fronte di queste considerazioni la lettura di queste pagine tragiche è un dovere per tutti perché può aiutare a vegliare continuamente sulla nostra coscienza.
È una pura illusione ritenere che tutti gli uomini abbiano un naturale amore per la libertà e per la dignità. Da sempre le mani dell'uomo sono insanguinate. Nei periodi più tragici e vergognosi pochi uomini hanno lottato e difeso i diritti inalienabili dell'uomo.
Tutti noi sappiamo che la libertà intellettuale, soprattutto in certe situazioni pericolose, è poco seducente e comporta immani fatiche nonché pochi uomini sono disposti a portare il peso gravoso di questa responsabilità. Che si tratti di lager o gulag nulla cambia. Eppure della libertà si sente spesso parlare in tono enfatico: come principio cosmico, come garanzia, come bene inalienabile, l'edificante Uomo-Libertà. Ma la strada per la libertà è avventura assai più rischiosa, è un atto di coraggio, un percorso doloroso.
L'uomo libero è tale anche in prigione, nella stanza della tortura, nella fossa comune, nella miseria, nella disperazione e anche se sottoposto alle più atroci sofferenze. Ogni limitazione, ferita, coercizione, negazione del corpo e della mente paiono messe lì apposta nella storia dell'uomo per dimostrare l'inalienabilità della libertà: proprio dove tutto sembra perduto, nelle tenebre della morte, nelle camere a gas, nello sterminio di massa, nell'uomo assassino dell'uomo. Fortunatamente le testimonianze di questa vittoria della libertà e della dignità umana sono numerose anche nelle condizioni più drammatiche e subumane. Quella di Primo Levi è una di queste.


E' un argomento che tratto molto spesso e forse può diventare noioso, ma sento il bisogno, la necessità di parlarne, non vorrei che le testimonianze così tragiche che hanno segnato la mia vita possano andare dimenticate e nella mia mente risuonano molto spesso le parole della breve poesia che Primo Levi inseri nel libro.

1 commento:

  1. Questa poesia mi provoca da sempre la pelle d'oca... dalle medie, quando a scuola la lessi la prima volta. Ma ai nostri figli le fanno leggere ancora?

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